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VAIASSE

Donna di facili costumi. La parola è importata dal termine del dialetto partenopeo "vasciaiola": donna dei "bassi" (vasci). A Napoli vengono appunto definiti "bassi" i quartieri più poveri o malfamati della città ed era in questi luoghi che, soprattutto durante il periodo bellico, la miseria e la disperazione inducevano molte "vasciaiole" alla prostituzione: celeberrima la commedia di Eduardo De Filippo "Filumena Marturano" nella quale la protagonista, in un lungo monologo, descrive minuziosamente la vita dei "bassi" e racconta le tristi vicissitudini che l'hanno spinta sul marciapiede. Un altro suggestivo spaccato di vita nei "bassi" lo ritroviamo in "Napoli milionaria!" sempre di Eduardo.

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VASANICOLE

Basilico. La parola deriva, con ogni probabilità, direttamente dal greco "vazilikon". In tale lingua il termine "vasilias" vuol dire Re e "vazilikon" si traduce come “degna di un re”. Questo grazie al gradevole profumo di tale pianta.
Una curiosità: secondo una leggenda pare che la pianta del basilico generasse il basilisco, lo scorpione e altri animali velenosi. In particolare il basilisco, per gli antichi, era un mitico animale, nato dall’uovo del gallo che, se guardato, provocava la morte.

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VERBUMCHIERE

Borbottio incomprensibile sia da parte di chi ascolta che da parte di chi si esprime.
Il termine deriva probabilmente dalla frase latina tratta dal Vangelo di Giovanni “Verbum caro factum est” (il Verbo si fece carne). Unendo, infatti, le parole latine verbum e caro e storpiandole opportunamente come si fa di solito nelle forme dialettali, si ottiene, appunto, “verbumchiere”.
Nel dialetto del nostro paese il vocabolo in esame assume un significato dispregiativo oltre che nei confronti di chi non esprime chiaramente i concetti, anche, e soprattutto, verso coloro che, pur non comprendendo nulla delle preghiere che recita in chiesa, continua ad essere presente ai riti religiosi o per abitudine o, peggio, per tornaconto personale. Modi di dire:

"Vrivotte sempre verbumchiere!" (borbotta continuamente frasi senza senso).

"Zi ficche a la Chiese a dice verbumchiere! " (si infila in Chiesa a recitare preghiere incomprensibili).

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VICALE

Boccale. Contenitore di coccio decorato. Capacità: un litro.

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VISCIÒLE

Geloni. Questo termine non è quasi mai più usato nel nostro paese, soprattutto perché, fortunatamente, il benessere ha quasi del tutto eliminato il problema derivante dai lunghi inverni freddi. Il gelone o eritema pernio è, infatti, un’irritazione della pelle causata dall'esposizione al freddo intenso, ma non solo. Nel nostro paese, quando per scaldarsi si usavano ancora la brace del camino o il braciere, si era soliti, quando si rientrava in casa in inverno, di porre le mani vicino ad una fonte di calore quali, appunto, un braciere, una stufa o il camino. Lo sbalzo repentino di temperatura provocava quelle che venivano chiamate “visciòle”.
È difficile fare delle ipotesi sull’etimologia del termine dialettale, ma forse qualche spiegazione ci può giungere dall’assonanza con la parola italiana vìsciola (accento sulla prima vocale) che, si sa è un frutto molto simile alla ciliegia, ma ugualmente utilizzata per farne marmellate.
Il frutto in questione è di un colore rosso scuro che ricorda molto, appunto, quello del gelone.
Questa però è solo un’ipotesi.

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VLOCCHE

Chioccia. Anche se pronunciato in maniera diversa da zona a zona, è un termine usato probabilmente solo in Abruzzo. Inutile cercare riferimenti in idiomi stranieri o nel latino: la parola deriva semplicemente dall’italiano “blocca” (voce del verbo bloccare). Infatti, quando la gallina diventa chioccia, non fa più uova (blocca quindi la produzione). Tale ipotesi è anche confermata dal fatto che il termine “bbluccate” è usato sia quando, appunto, la gallina comincia la cova (mi z’è bbluccate la ‘alline) sia genericamente per indicare, in maniera scherzosa, la condizione fisica di una persona che non si alza più dal letto. È noto, inoltre, che la chioccia durante la cova si muove dal nido pochissimo: soltanto il tempo necessario per sgranchirsi, bere e mangiare.

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VOLTARECCHIE

Tornanti, zigzag. Termine formato da volta (indicativo presente del verbo voltare) e recchie (parola dialettale per orecchie). Locuzione che rende perfettamente l’idea di una strada tortuosa come sono, appunto, sia le cartilagini che formano il padiglione auricolare, sia il labirinto dell’orecchio interno.
Altro termine dialettale per definire una via piena di tornanti è “voltaciammagliche” (letteralmente gira-lumache) con cui ci si riferisce chiaramente al guscio della chiocciola.
Quando si partiva da Fallo con la corriera per recarsi in qualche località più o meno distante, era quasi uno standard la frase: “m’assette anniente ca mi fa male tutte chille voltarecchie (o voltaciammagliche) ” (Mi siedo davanti ché mi fanno male tutti quei tornanti).

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VRACHETTE

Chiusura dei pantaloni da uomo, patta. Deriva chiaramente dall’italiano brache. Con tale termine gli antichi romani indicavano una specie di calzoni stretti e variopinti in uso nei paesi orientali ed altri larghi e comodi indossati dai Germani. Tale vestiario era disprezzato dai romani che andavano fieri delle toghe, a loro dire, più maestose. Nel nostro paese un uomo che girava “’nchi la vrachette aperte” (con la patta aperta) era considerato sciatto, ma spesso i ragazzini lo facevano semplicemente perché non avevano più i bottoni per chiuderla poiché avevano perso questi ultimi giocandoseli a carte, a morra, a pari e dispari e in “giochi d’azzardo” vari.

Modi di dire:"’nmece di parlà tante, chiùtete la vrachette, macare!" ( invece di parlare tanto, chiuditi magari la patta!).

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VRAGNE

Zona d’ombra. È il contrario di “sulagne” (zona assolata). Mentre per quest’ultimo termine l’origine è piuttosto intuitiva (deriva da sole), per la parola vragne si possono formulare solo delle ipotesi. Nella vasta documentazione in possesso degli “Accademici della Crusca” troviamo una locuzione molto simile a quella che ci interessa: il vivagno, da cui forse il termine deriva. Il vivagno è definito come “l'Estremità de' lati della tela” e “per similitudine ripa, sponda”.
Sempre nei documenti dell’“Accademia della Crusca” troviamo:

Dante. Purgatorio. “Sì accostáti all'un de' duo vivagni Passammo.
Vivagno è lo canto della tela, e così le ripe sono li vivagni della bolgia.

Modi di dire: "Li fugne l’ha da i truvenne addò sta’ la vragne e no addò sta’ la sulagne." (i funghi devi cercarli dove ci sono le zone d’ombra e non dove batte il sole).

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VRENNE

Crusca. Il termine deriva dalla parola italiana brenna che, oltre a voler dire brocco, ronzino, è anche un sinonimo di rozza. La crusca è lo scarto della lavorazione del grano e, come tale, è appunto considerata rozza, cioè brenna. Modi di dire:

"Pi fa spurgà li ciammagliche ia da dà a magniè la vrenne" (per spurgare le lumache è necessario dare loro da mangiare la crusca).

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VRICCE

Sassolino. Dall'italiano "breccia" e "brecciolino". La parola è usata con le stesse accezioni della lingua italiana, incluse quelle allegoriche o idiomatiche. Modi di dire:

"Mmece di nu cumbiette, ariccugliette nu vricce!" (invece di un confetto, raccolse un sassolino). La tradizione popolare di alcuni anni fa, prevedeva il lancio di monete e confetti nuziali dalle finestre e dai balconi delle case che affacciavano sull'itinerario del corteo festoso. Per i bambini di allora era un'occasione assolutamente unica e da non perdere, ma anche gli adulti si davano da fare per recuperare i confetti e le monete. Le strade di allora non erano certo asfaltate ed il candore dei confetti si confondeva spesso con quello delle pietre che ricoprivano le vie del tempo sicché non era improbabile che, nella foga della ricerca, venissero recuperate le pietre anziché i confetti.

"Doppe tanta tiempe, mi luvive lu vricce da la scarpe!" (dopo tanto tempo, mi tolsi il sassolino dalla scarpa: è un modo figurato per dire che ci si è presi una rivincita meditata da lungo tempo).

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VRIVILONE

Sbrodolone.

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VROTE

Acqua non pulita. È derivante dall’italiano broda (forma femminile di brodo), ma riferito soprattutto all’acqua dove sia stata bollita pasta, cibarie o verdura. Frequentemente il termine è anche usato per indicare l’acqua di risciacquatura dei piatti. Modi di dire:

"Nin ittà la vrote di li sagne, ca ci pripare lu pastone pi lu puorche" (non gettare l'acqua in cui sono state bollite le lasagne, così ci preparo il pastone per il maiale).

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VRUÒGNELE

Foruncolo, bozzo. Il termine deriva probabilmente dalla parola italiana prugnolo, pianta selvatica a foglia caduca e dai fiori bianchi. I suoi frutti maturi, bluastri, di circa un centimetro di diametro, sono aspri, ma hanno proprietà lassative e depurative. Proprio per questa loro forma, probabilmente, sono stati associati ad un piccolo bitorzolo.
In dialetto tale frutto è chiamato “pirugne” e le campagne intorno al nostro paese ne sono piene. Modi di dire:

"So’ sbattute nchi la cocce e mi so fatte nu vruògnele" (ho sbattuto con la testa e mi è uscito un bozzo).

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VÙTINE

Contenitore di legno ottenuto di solito tagliando una botte in senso trasversale.

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