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CAPITOLO DECIMO

- Il Nuovo Mondo: fra l'incanto e l'ignoto -

Il Saturnia era stato usato durante la guerra per trasportare le truppe, e la nostra terza classe non aveva cabine individuali. Gli uomini e le donne dormivano separatamente in grandi stanze con cuccette ribaltabili. Era affollato. Il cibo era eccellente. L'oceano fu agitato per i due o tre giorni successivi al distacco da Gibilterra. A bordo c'erano molti ragazzi come me che andavano a raggiungere i propri padri. Molti di loro si recavano a New York e nel Nuovo Jersey. Regnava uno spirito di allegria e di avventura a bordo. C'era eccitazione quando attraccammo e ci preparammo a sbarcare.
Toccammo uno dei moli di New York il mattino del 22 febbraio 1948. Il viaggio era durato 11 giorni. Erano circa le 11 quando sbarcammo, ma dovemmo attendere fino al tardo pomeriggio per prendere i bagagli e passare la dogana.

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Intanto mio padre stava aspettando da ore dietro un'area transennata all'interno del cavernoso edificio del molo. Finalmente ci incontrammo e mio padre ci portò con un taxi allo Statler Hotel dove alloggiammo in una bella suite, messa a disposizione dalla Statler Corporation per la quale mio padre era chef a Boston. Rimanemmo a New York per un paio di giorni ma ricordo tutto molto vagamente. I grattacieli della città erano impressionanti, le strade erano brulicanti, c'era molta gente, c'era tanta neve mista a fanghiglia, i ristoranti erano caldi e ben illuminati, il cibo era differente, le stanze dell'albergo erano confortevoli e riscaldate.

Partimmo per Boston con il treno. Guardavo attraverso i finestrini la neve che copriva il paesaggio, le piccole case-di-bambola in legno, la gente che pattinava sugli stagni ghiacciati. Era un mondo diverso. Appena il treno sfrecciò verso Boston, cominciai a chiedermi tristemente come sarebbe stata la mia vita in America..