CALAMITÀ NATURALI

I brani che seguono sono soltanto un esempio delle tante credenze che in Abruzzo sono ancora oggi vive soprattutto presso i contadini. In particolare gli scongiuri riguardano comunemente calamità naturali quali i terremoti, la grandine, i fulmini, la pioggia, eccetera. Particolarmente interessanti sono le credenze attinenti la causa delle varie calamità: alcune sono provocate dall'ira di Dio, altre da quella dei Santi, ma tutte, a dire il vero, molto interessanti e fantasiose, come fantasiosi sono i rimedi contro di esse.

I brani sono tratti dal libro "CREDENZE USI E COSTUMI ABRUZZESI" di Gennaro Finamore.

 

IL TERREMOTO (LU TIRRAMOTE)

Secondo alcuni è un castigo di Dio e S. Emidio n'è il padrone. È provocato dal gran caldo o dall'incontro di due venti gagliardi e opposti. Secondo altri è da temere quando l'aria è calda e stagnante, viene dal Vesuvio e si propaga da un punto all'altro come le onde del mare.

 

LA PIOGGIA E LA GRANDINE (L'ACCHE E LA GRÀNILE)

L'ORIGINE

Nel dì di S. Giorgio, protettore del Treglio, un contadino arava. Cominciò a piovigginare, ma quel tanghero non smetteva, anzi, faceva: - Víte Giorge? (Vedi Giorgio?) - , quasi avesse ragione lui. La pioggia incalzava e colui, a dispetto, continuava e se la pigliava col santo. Ma sai come finì? L'acqua divenne diluvio e travolse buoi e bovaro.

Il dì di S. Giacomo (25 luglio) é fiera e festa in Torricella Peligna. Un anno, che capitava di venerdì, oltre alle solite frodi, bugie e bestemmie che si barattano in una fiera, si mangiò di carne a tutto pasto. Venne giù una grandine, che non risparmiò neanche le pietre!

In uno di questi villaggi, vi é una statua del Padre Eterno. Non si saprebbe dire il perché, ma é certo che non si può toglierla dalla nicchia e portarla in processione nel dì dell'Ascensione se non si vuole, in quel giorno stesso, lo sterminio di una tempesta.

La sera del 29 giugno 1876 poco mancò che l'arcivescovo di Lanciano non fosse lapidato. In quel giorno, una terribile grandinata, aveva devastato la città e la campagna circostante. Molte centinaia di contadini si ammutinarono con urli e schiamazzi del diavolo gridando morte all'arcivescovo la cui colpa era di aver dissacrata, per sostituirla con una nuova, la statua di S. Pietro, così vecchia, che non aveva più forma umana.

Narrasi di un contadino che volle trebbiare nel dì di S. Giovanni. Il tempo si mosse a tempesta e il contadino, gli assistenti, il grano, i buoi, tutto fu dal fulmine subissato. Ogni anno, nella notte che precede la festa del Precursore, si ode in quel luogo un rumore sotterraneo: sono le grida di quegli sciagurati. Dove questo avvenisse non si sa dire di preciso, ma, certamente, fu in un luogo e in un tempo.

GLI SCONGIURI

All'avvicinarsi di un temporale, chi vuol premunirsi dalle saette, se é in casa deve mettere alla finestra o un coltello o una scure con la punta o col taglio rivolti in su, se in campagna, deve infiggere al suolo un arnese di cucina o da lavoro con la punta o col taglio in alto (Vasto, Gessopalena) o, come altri vuole, in basso (Montenerodomo).

Quando, o dalla furia del vento o dal repentino abbuiarsi del cielo o da qualche chicco di grandine che già cade, si argomenta che la rovina é imminente, battendo fra loro due oggetti qualunque di ferro, si ripete: - Cessa, cessa, cessa! - . (Castiglione a Casauria).

Se la tempesta insorge mentre si miete, uno dei mietitori, rivolto al nembo, s'inginocchia, e con la falciuola annaspa e trincia croci in aria, ciò che vale tagliare la nuvola trista (Loreto Aprutino).

I mietitori, col manico della falciuola, fanno tre croci in direzione della nuvola temporalesca, dicendo: - I ti mmalidiche, nnome di lu Puatre, di lu Figlie e di lu Spirdi Sande! (Io ti maledico in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo) - Poi, rivolgendo la falciuola, si fa l'atto di tagliare a pezzi la nuvola (Gessopalena).

Se si sta in casa, si sale sulla parte più elevata di questa, si segna l'aria a croce più volte con un lungo coltello a manico nero e si ripete: - Pi la croce di Caravacche, i ti strujje, t'ammacche e ti spacche! (Per la croce di Caravacche, io ti distruggo, ti ammacco e ti spacco) - continuando l'armeggiamento per impedire il passo agli spiriti maligni conduttori della tempesta (Lanciano).

In alcuni luoghi tirano schioppettate al nembo. Il fucile si deve caricare a palle e alla carica si unisce un pezzettino di cera delle candele accese nella processione del Cristo morto o del Corpus Domini (Loreto Aprutino). L'uso, evidentemente, é fondato sulla credenza che esseri malefici siano gli apportatori delle tempeste. Una volta, tirato un colpo di fucile ad una grossa nuvola nera, cadde a terra una gamba umana che era quella di un frate mago (Campli).

Dopo aver tirata una fucilata al nembo, un contadino vide precipitare dalla nuvola una vecchiaccia orribile e quello incauto mancò poco che non ne morisse di spavento (Ari).

In qualche luogo, si cavano le scarpe e le scaraventano contro il nembo.

 

La gente pia e illuminata ritiene che contro i temporali ci possano (ciappò), più che altro, le preghiere e gli scongiuri fatti con le reliquie o con le immagini dei santi protettori del comune: il suono delle campane (lu suone di lu metalle - Lanciano -) e dei campanellini benedetti nella chiesa della Santa Casa di Loreto, di San Nicola di Bari etc.

Se la nuvola cattiva é entrata nel tenimento del comune coprendone sia pure un lembo, il suono delle campane non vale ad arrestarla. Guai pertanto al sagrestano, che, al primo indizio della tempesta non corresse a dar di mano alla fune! Farebbe una magra questua nelle aie. Ma il caso é raro perché, qualche contadino, va a sollecitarlo se pure, quando non c'e tempo da perdere, non corre egli stesso addirittura in chiesa per fare da sé (Loreto Aprutino).

Il suono delle campane ha efficacia quando il diavolo é appena a cavallo sulla nuvola trista. Se già si è messo in viaggio, vi é poco da sperare che il suono delle campane lo trattenga (Vestea).

In qualche comune, si porta la statua del santo in luogo eminente e vi si lascia stare fino a che il pericolo di una tempesta non sia cessato. Se la grandine cadesse, tanto peggio per il santo che non abbia voluto o potuto tenerla lontana. I fedeli prenderebbero il coperto e il santo l'avrebbe tutta sulle spalle.

Precisamente questo, nel 1861, toccò a S. Marziale protettore di Torricella Peligna il quale, per giunta, poco mancò che non avesse le fucilate. Era il tempo del brigantaggio e una colonna di guardie mobili, che arrivava da Palena, vedendo in lontananza una persona stranamente vestita, credette che un poco di buono stesse lì a spiare.

 

Naturalmente non mancano le formule religiose che sono qualcosa tra la preghiera e la rigida frase rituale e cambiano anche di poco da paese a paese. Di seguito ne riportiamo solo qualche esempio.

Per scongiurare la tempesta:

Madonne di la fihure
Porte la tempeste a cchella valle scure
Addó nin ci fére né ssole né llune
Nin ci passe pure nesciuna críjature.
Sande Ggiuvanne Bbattiste
Chi vattijste Criste
Vatteje chella nuvela triscte.
Nin pozza fà nisciune danne
Nnome del Patre, di lu Figlie e di lu Spirde Sante.

 

Madonna della figura
Porta la tempesta in quella valle scura
Dove non ci soffia né sole né luna
Non ci passa nessuna creatura
San Giovanni Battista
Che battezzasti Cristo
Battezza quella nuvola trista
Non possa fare nessun danno
Nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo.
Ciò detto, si fanno tre croci in direzione della nuvola temporalesca.

Per scongiurare í fulmini:

Santa Bbarbera bbenedette
Lìbbrece da fulmene e dda sajétte.
Mànnele a cchella parta scure
Addó nin zi trove nisciuna crijature.
La mamme de Santa Barbere
Zi chiamave Caravacche.
Chi zi la ricorde di stù bbélle nome
Nin ha paure né di fulmine e nné di tuone.

 

Santa Barbara benedetta
Liberaci da fulmini e saette
Mandale a quella parte scura
Dove non si trova nessuna creatura.
La mamma di Santa Barbara
Si chiamava Caravacche
Chi ricorda questo bel nome
Non ha paura né di fulmini e né di tuoni.

Per scongiurare la grandine:

Giude nmiezze a nu vallone z'assittave
E sette citre vicine li tineve.
Passe Gesú Criste e i dicette: - Giude, chi ffié? -
- Facce gránele! - - Grànele mé, scià bbindette
Come lu vine chi z'alza a la messe.
Nin mi tuccuá né vigne e né campe
Si cummannate da Ddiè e da lu Spirde Sante. -

Giuda in mezzo ad un ruscello si sedeva
E sette bambini vicino aveva.
Passa Gesù Cristo e gli disse: - Giuda che fai? -
- Faccio grandine! - - Grandine mia, che tu sia benedetta
Come il vino che si alza alla messa.
Non mi toccare né vigne, né campi
Sei comandata da Dio e dallo Spirito Santo. -
Ripetendo sette volte questa orazione, a ricominciare da "Granela mé", si fanno sette croci in direzione del nembo.
 
Tradizioni popolari abruzzesi