I SERPENTI A COCULLO

FONTE: "ATTRAVERSO L'ITALIA" (TOURING CLUB ITALIANO)

Ogni primo giovedì di maggio, a Cocullo, i serpenti sono i protagonisti della festa di San Domenico Abate, un monaco peregrinante di origine umbra che vagò fra Lazio e Abruzzo nel X-XI secolo, fondando eremi e comunità.

Sono bisce innocue di quattro specie, raccolte con molta abilità nella montagna all'uscita dal letargo, nel mese di marzo, e conservate fino al giorno festivo.

La festa e la connessione dei serpenti con il santo appaiono a Cocullo e in altri centri vicini già intorno al XIV-XV secolo, ma richiamano la cultura italica dei Marsi che, contadini e pastori del Fucino, ebbero a difendersi, dalle serpi.

Ancora nel XVII secolo, un intero paese, Penna, fu costretto ad abbandonare la propria sede per un'invasione di bisce putride e si riversò nella vicina Luco.

I Marsi, del resto, erano ben noti, nella tarda epoca repubblicana e nei secoli dell'Impero, come incantatori di ofidi velenosi, che, con formule e magie, operavano la guarigione dalle morsicature, circolando per le strade di Roma. La tradizione terapeutica ha una sua continuità nel Medioevo, nel corso del quale, intorno all'VIII secolo, appaiono in Sicilia, in Calabria e forse nella Marsica stessa operatori e terapeuti specializzati che vengono indicati come CIARALLI, probabilmente da un termine bizantino che ha il valore di SUONATORI DI CORNO, di quel corno che serviva a incantare i serpenti.

A Cocullo e in altri paesi marsicani, i ciaralli derivavano il loro miracoloso potere da una facoltà ereditariamente trasmessa e attestata da segni particolari: si narra di un prete marsicano che aveva potere di guaritore antiofidico ed era nato con i segni di un serpente sulla schiena. Sono questi i SANDOMENICANI o CIARALLI DI SAN DOMENICO, che si distinsero dagli omonimi operatori siciliani e pugliesi, detti CIARALLI DELLA CASA DI SAN PAOLO.

Intorno al XVI secolo, la figura di San Domenico, per vicende che non conosciamo bene, si carica di tutta la tradizione marsicana dei serpenti. Protettore di uomini e animali, lascia a Cocullo il ferro della sua mula e il suo dente molare che sono conservati nella chiesa locale. Per assicurarsi la guarigione dai mali e l'immunità dai morsi di cane e di serpente, tuttora, nel corso della festa, i fedeli baciano la reliquia del dente, mentre con il ferro di mula si toccavano gli animali ammalati.

Una folla enorme di pellegrini, proveniente da molte parti dell'Italia centro-meridionale, invade, nel primo giovedì di maggio, le anguste stradine del paese. Celebre fra tutte, la compagnia di Atina, un paese presso Cassino, avanza verso la chiesa in corteo preceduto dalle zampogne, cantando i suggestivi canti di "entrata". I fedeli, nel tempio della Madonna delle Grazie, dopo aver baciato il dente del santo, compiono rituali di sapore arcaico. Raccolgono da un mucchio, appositamente predisposto, la terra benedetta che porteranno nelle loro sedi distanti per spargerla sui campi e intorno alle case per difenderli dall'invasione dei bruchi e delle serpi. Tirano poi una corda con i denti affinché il suono di una campanella ad essa legata li difenda dalle odontalgie. La processione del santo rompe la calca intorno a mezzogiorno, e la statua è coperta da stupendi esemplari di bisce vive che si agitano lungo le pieghe lignee e talvolta, con presagio negativo per i raccolti, salgono fino al volto. Cinque grandi pani, chiamate ciambelle, sono portati nella processione da fanciulle vestite degli splendidi costumi marsicani, e saranno destinati ai portatori della statua

 
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