Il brano che segue non è stato scelto a caso: esso rappresenta solo un esempio di una delle manifestazioni religiose e folcloristiche più antiche e più sentite in gran parte d'Italia. Si tratta della processione del Venerdì Santo. In quasi tutti i comuni d'Italia, si ricorda questo giorno con varie celebrazioni e, naturalmente, Fallo non è da meno. Credo che anche tutti coloro che da tempo non vivono più al paese, ricordino la processione del Venerdì Santo che si snodava per le sue strade. In effetti, i cortei erano due: uno con il Cristo morto che partiva dalla chiesa di San Giovanni Battista, l'altro con la Madre che si muoveva dalla chiesa di Santa Maria del Soccorso. Il Cristo saliva su per Vico I la Piazza quindi si dirigeva verso Via Duca degli Abruzzi, mentre la Madre scendeva verso piazza IV Novembre e risaliva lungo Viale delle Rimembranze. L'incontro avveniva sullo slargo all'incrocio tra Via Duca degli Abruzzi e Viale delle Rimembranze. Qui le due processioni si univano, proseguivano insieme attraversando le vie del paese, arrivavano fino a "La Madonnina" e tornavano poi entrambi alla chiesa di San Giovanni Battista. Il corteo era formato da quasi tutti gli abitanti del paese che, di solito, reggevano in mano una candela votiva accesa cui intorno era stato posto un calice di carta per impedire al vento di spegnerne la fiamma, anche perché, spesso, le condizioni atmosferiche non erano del tutto favorevoli. Molta gente si univa alla processione durante il suo scorrere e gli anziani e le mamme indicavano ai piccoli il corteo dicendo - Uarde, uarde, mò Gesù Criste z'incontre nchi la Madonne! - (Guarda, guarda, ora Gesù Cristo s'incontra con la Madonna!).

Quanto di seguito riportato è la cronaca della manifestazione religiosa che si svolge a Chieti e che, in parte, ricorda quella che si svolgeva e che si svolge tutt'oggi a Fallo.

Buona lettura!

 

IL VENERDÌ SANTO DI CHIETI

FONTE: "ATTRAVERSO L'ITALIA" (TOURING CLUB ITALIANO)

Un rivivere intensamente la sofferenza del Cristo morente e della Madre carica di immane dolore è stato da sempre un'annuale esperienza delle genti abruzzesi. La drammatica compartecipazione al lutto e al cordoglio del tempo che precede la Pasqua si esprime in una lunga tradizione di poesia dialettale e popolare che solleva a concretezza di immagini la vicenda del Calvario e che da sempre ha consentito a ogni donna abruzzese una identificazione con la Madre dei dolori.

In un antico poemetto, pubblicato nella trascrizione teatina da D. Lupinetti e ricorrente, in varie versioni, in molti centri meridionali, la Vergine dolente appare nell'affannosa ricerca del figlio che le è stato strappato e si dispera di non potergli prestare aiuto. Quando finalmente riesce ad incontrarlo mentre è circondato dai suoi persecutori, si leva il grido con il quale la rielaborazione popolare poteva rappresentarsi lo sconfinato tormento della Croce:

O mamma, mamma, già che sei menute
Na goccia d'acqua m'avisse purtate?
(O madre, madre, ora che sei venuta,
sei riuscita portarmi una goccia d'acqua?)
 
E la Madonna gli risponde offrendogli il latte materno, giacché non vi è fonte cui attingere:
 
Si tu putisse lu cape ariglinà,
na gocce di latte ti vurréje dà.
(Se potessi reclinare la testa,
vorrei darti una goccia di latte).

Il Venerdì Santo di Chieti, come quello di Sulmona, è certamente l'esempio più alto e potente di una drammatizzazione processionale nella quale queste partecipate emozioni in presenza della memoria evangelica sono state incanalate ed elaborate nella ricchezza di un rituale minutamente definito. La rigidità del cerimoniale nulla sottrae al coinvolgimento esistenziale della enorme folla che diviene essa stessa protagonista del dramma. Il popolare ed il liturgico vengono a fondersi in una perfetta armonia che fa della processione teatina, cadente la sera del Venerdì (una volta iniziava al mattino), una delle celebrazioni più significative del nostro Paese. In un lungo percorso attraverso le vie e gli stretti vicoli della città, seguendo un itinerario che una volta toccava i palazzi degli organizzatori, la processione ha al suo centro la statua dell'Addolorata vestita di nero e trafitta dalle spade secondo il modello iconografico di origine spagnola, e ai piedi di lei è la statua del Cristo morto e piagato.

Nella fantasmagoria delle lampade (i lampioni) avanzano le confraternite secentesche e settecentesche della Chiesa Teatina. Una volta più numerose, come associazioni di varie corporazioni di mestiere della città, oggi sono dodici, ciascuna con le proprie insegne, con i propri stendardi, con i particolari colori delle mozzette, con i cappucci che coprono il volto, nei tempi antichi destinati a celare l'identità dell'incappucciato. Il ruolo più importante spetta da sempre alla confraternita del Sacro Monte dei Morti fondata nel 1648, che ha il privilegio di portare le statue del Cristo e della Madonna. I confrati che, a differenza degli appartenenti alle altre congreghe, vestono completamente di nero con mozzetta dorata, sono il dolente corteo che rappresenta il lutto e la funebre sofferenza in tutta la sua tragicità, e certo sollecitano ansie e paure nei bambini presenti.

Intanto si levano profonde e lancinanti le note del Miserere composto dal teatino Saverio Selecchy nel corso del XVIII secolo: un'antica fine cadenza che accompagna il coro.

Già nel 1575 si ricordano in Chieti "misteri" o "trofei" che, portati su carri, rappresentavano, con impianti di legno e carta, scene viventi dell'Antico e del Nuovo Testamento, come avviene tuttora per i Talami di Orsogna. I "trofei" o "simboli", ideati e costruiti nel 1855, evidentemente su precedenti modelli, da Raffaele Del Ponte, propongono alla folla i momenti essenziali della Passione come appare negli Evangeli. In numero di sette, essi rappresentano l'Angelo che appare a Gesù nell'Orto degli Ulivi, la lancia, la colonna della flagellazione, il Volto Santo, la Croce. Il "sasso" è il trofeo che rappresenta la sedia di pietra sulla quale, nel corso del processo, Gesù venne fatto sedere. Queste macchine mobili ancora nello scorso secolo non erano affidate ai confrati delle diverse congreghe, ma ai gruppi di artigiani, gli ottonai, i muratori, i contadini, i calzolai, i falegnami e, segnali di una società ottocentesca che in Abruzzo conservava mestieri oggi spariti, ai serpari e agli scrivani. Attualmente ciascuno dei "trofei" è affidato ad una confraternita, in ossequio ad un provvedimento destinato a evitare animosità e conflitti fra le varie associazioni di fedeli, non infrequenti in altri paesi abruzzesi, per ottenere privilegi nei ruoli processionali.

Questo ritualismo composto e solenne ha un suo versante popolare non trascurabile. È per esempio d'uso che le madri facciano uscire per la prima volta dalla casa i neonati battezzati proprio nel Venerdì Santo, quasi per presentarli a Gesù. Numerosi sono i bracieri che vengono tratti dalle soffitte ed esposti lungo il corso processionale, caricati di brace di semi di olivo sulla quale si fa ardere incenso. I macellai espongono fuori delle loro botteghe agnelli e capretti sgozzati, nelle cui carni sono fissate bandierine di carta colorata, portanti il disegno della croce. In molte chiese della città, rinnovando l'uso napoletano dei "sepolcri", sono esposte le statue dell'Addolorata e di Gesù morto.

 
Tradizioni popolari abruzzesi